Rihannon si fermò nella radura, con un sospiro.
Si sedette a terra, sistemandosi con cura l’arco sulle spalle, e si guardò intorno. Era ancora primo mattino, il sole illuminava a malapena il folto della foresta, eppure in quella radura si poteva ancora godere del tepore dei suoi raggi, per quanto attutiti dal rigore invernale.
Il mezz’elfo fece una smorfia.
Erano giorni che vagava là dentro, prima o poi ne sarebbe uscito…eppure il suo senso dell’orientamento non gli veniva in aiuto. E questo lo infastidiva.
Sospirò, prese dallo zaino un vecchio libro dalla rilegatura sformata. Le pagine erano ondulate a causa dell’umidità, l’inchiostro in certi punti era sbavato, quasi sciolto. Le prime righe erano ormai semi cancellate.
Seduto a gambe incrociate sul terreno, Rihannon si mise a scrivere. Lo pagavano per esplorare, e raccogliere informazioni.
“Giorno della Sapienza, 13 del Mese del Lupo Bianco. Almeno credo.
Mi sono perso. Magnifico. Ho passato più della metà dei miei lunghi anni di vita ad esplorare queste terre, e ora questa dannata foresta sembra prendermi in giro. Sono in una radura, e sto girando in tondo. E’ almeno la decima volta che mi ritrovo qui.
Breve riassunto della mia missione, sempre che alla fine io riesca a consegnare queste dannatissime pagine.
Dal villaggio, Ghaya, mi hanno mandato qui per scoprire qualcosa su quegli esseri che chiamano Satiri. Non se ne vedono molti in giro, e anche io ne avevo sentito parlare pochissimo. Il capovillaggio mi sta pagando (sempre che io riesca a vedere quelle monete, un giorno) perché ormai cominciano ad essere decisamente fastidiosi.
Da quel che mi avevano raccontato, arrivavano in gruppetti di 4 o 5 nel mezzo del villaggio, correndo e suonando pifferi e flauti. La loro musica è magica, e questo l’ho provato…è in grado di attirare, ma anche confondere, e credo che in questo momento sia la loro magia ad impedirmi di uscire dal bosco.
Sono esseri antropomorfi dalla vita in su, con zampe di capra che gli concedono una velocità incredibile. Sono riusciti a scampare alle mie frecce, e questo è tutto dire.
Hanno delle piccole corna sulla testa, a volte li ho visti anche con corte code di capra.
A quanto pare, sono parte pura della natura, totalmente esterni alle leggi della moralità che influiscono sulle altre razze senzienti.
Al villaggio convincevano con la musica le donne a seguirli, ed esse scomparivano nel folto della foresta per tornare dopo qualche giorno… stordite, dimentiche di ogni cosa.
Della loro società sono riuscito a carpire poco o nulla… ed è stata solo fortuna. Sono incappato nel loro villaggio, formato da piccole capanne decorate con teli colorati. Non esistono satiri donna, o almeno io non ne ho notate…e questo rischiara per quale motivo essi si preoccupino di “rapire” le donne al villaggio.
Passano le giornate a cantare e suonare, inventando nuove odi ed inni sulla Natura e la Vita Selvaggia.
Interessante, sembra non possiedano alcun senso di proprietà privata… per quel poco che ho visto, tutti entravano ed uscivano da ogni capanna, prendendo cibo e oggetti… in un caos che sembrava quasi bello…”
Rihannon alzò il capo, aggrottando le sopracciglia.
Ora la udiva chiaramente la musica, tutto intorno a lui.
Lasciò cadere il libro, imbracciando l’arco e incoccando una freccia. Non avrebbe saputo dire la direzione esatta delle note, in quanto esse provenivano da ogni direzione.
Poi lo vide uscire dai cespugli, suonando un flauto di pan e saltando in una strana danza. Era piccolo, molto più basso di lui, gli zoccoli che battevano a terra ritmicamente, nudo se non fosse per un piccolo perizoma legato sui fianchi.
Suonava, e Rihannon sembrava una musica bellissima. Non celestiale…ma bella, ritmica, di quelle che invogliano a ballare. Non riusciva a smettere di pensare alla musica, e gli occhi cominciavano a chiudersi. Abbassò involontariamente l’arco, cercando di mantenere una presa sulla sua coscienza, ma tutto intorno a lui si faceva nebuloso, e gli occhi non ne volevano sapere di stare aperti.
Scivolò a terra, nell’incoscienza che dona il sonno, e l’arco gli sfuggì dalle dita.
Il sole illuminava la radura, vuota.
Un piccolo libro sformato giaceva a terra, le pagine voltate solo dalla forza del vento…